ThunderBOLT: un mostruoso 9"69 solleva il morale in un pomeriggio davvero grigio
Per fortuna che sono arrivati i 100 metri! Il pomeriggio pechinese all'interno del Bird Nest Stadium stava scivolando tra una delusione e l'altra ma quei 10 secondi scarsi di gara hanno saputo rendere tutta l'adrenalina inutilmente attesa in precedenza. Il perchè è tutto nel risultato finale, 9"69. Un tempo mostruoso, ma più del tempo è mostruosa la facilità con cui ci è arrivato il nuovo imperatore della velocità mondiale, Usain Bolt, giamaicano appena più che ventiduenne e già primatista del mondo dopo il 9"72 di fine maggio.
Lento in partenza? Macchè, anzi. Già dopo venti metri Bolt era in testa, dopo 70 si è guardato attorno, quasi sorpreso di non vedere nessuno accanto a sè. Agli 80 ha iniziato i festeggiamenti, lasciando andare la falcata senza forzare oltre, incredulo a sua volta di quanto stava avvenendo sul rettilineo più osservato di tutta l'Olimpiade. Il 9"69 apre una nuova frontiera, perchè non è difficile immaginare ulteriori miglioramenti (suoi, ovviamente, e di chi se no? Richard Thompson, secondo, è arrivato a due decimi di distanza, e grazie che Bolt non ha spinto fino in fondo) vista la condotta di gara e la completa assenza di vento. Con Asafa Powell ancora afflitto dalla sindrome da finale (solo quinto, solo 9"95) e un macchinoso Tyson Gay eliminato in semifinale, la medaglia d'argento è andata al trinidegno Thomson, giovane erede di Ato Boldon mentre a salvare il bilancio della velocità a stelle e strisce ci ha pensato il meno atteso dei tre partenti, Walter Dix, 9"91. Ma in fondo, questa è stata un'altra gara rispetto a quella di Bolt.
Poco prima che sulla pista scendesse il ThunderBOLT il clima era allietato dagli abbracci e dal giro d'onore delle eptatlete, guidate dall'ucraina Natalija Dobrynska (6733 punti) vincitrice in un concorso orfano (per volontà loro, purtroppo) della reginetta Carolina Kluft e della potente Eunice Barber.
Per fortuna che sono arrivati i 100, si diceva. Perchè prima, in chiave azzurra, c'è stato ben poco da sorridere. Si sapeva che Andrew Howe si presentava a Pechino con ben poche certezze ed una condizione tutta da costruire. Ma forse ci si aspettava qualcosa di più del 7,81 insufficiente per il californiano di Rieti per ottenere la qualificazione alla finale. "La forma non c'è, ho fatto tutto il possibile ma nell'atletica non si può inventare nulla". Se ne va mesto, il ventitreenne dell'Areonautica che ha dovuto pagare a caro prezzo la leggerezza (sua, del suo staff e dell'intero staff nazionale, vista la ben nota fragilità dei muscoli di Andrew) di concedersi un 200 metri in occasione della Coppa Europa di Annecy, a giugno. L'infortunio muscolare ha di fatto messo fine alla sua stagione olimpica, nonostante il tentativo di rimettersi in piedi per l'appuntamento pechinese. Facile parlare a posteriori, verissimo: non resta che sperare che nel prossimo futuro la programmazione del talento Howe sia giudata maggiormente dal buon senso; in fondo non è morto nessuno e di occasioni simili ne arriveranno altre.
Alla delusione per l'eliminazione di Howe ha fatto seguito quella per l'opaca prova di Chiara Rosa nella finale del peso: apparentemente facile 18,74 in mattinata e opaco 18,22 in serata. L'istrionica padovana non cerca scuse, anzi; fa quasi specie vederla intristita e delusa, lei al solito vivace fino all'eccesso. Poca soddisfazione anche per l'11"56 di Anita Pistone nei quarti di finale dei 100 metri; anche per la siciliana un passo indietro rispetto a quanto fatto vedere in mattinata, per di più in un quarto tutt'altro che impossibile che sembrava poter lasciare un varco per un ulteriore passaggio di turno.
Tra tutti quindi, la delusione meno forte è forse quella di Elisa Cusma, fatta fuori nella terza ed ultima semifinale degli 800 a suon di tempi di assoluto valore. La modenese si è arresa con un buon 1'59"52 che rispecchia il suo valore medio attuale: per passare il turno la ventisettenne dell'Esercito doveva limare almeno un altro secondo, troppo per il suo potenziale attuale, magari ci arriverà tra un paio di stagioni.
Se ne va quindi in archivio un pomeriggio piuttosto amaro per l'atletica azzurra, sperando che domani le cose vadano un pochino meglio con la maratona femminile (Incerti, Sicari e Genovese), con l'alto maschile (Campioli, Talotti e Bettinelli), con le semifinali di Libania Grenot e di Christian Obrist e la finale di Elena Romagnolo. In fondo domani è un altro giorno.
Ma le immagini di Bolt, per fortuna, resteranno a lungo.
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